ASSOCIAZIONE PER I DIRITTI DI CITTADINANZA

Empoli

domenica 11 aprile 2010

Cie di Crotone, i poliziotti: «È indegno di un paese civile»


Il segretario del Coisp racconta le condizioni di vita e di lavoro all’interno del centro più grande d’Europa e che martedì c’è stata una rivolta dei migranti reclusi: «Abbiamo affrontato una vera e propria guerriglia durata ore».

Nessuno ve lo ha raccontato, ma è da mesi che i poliziotti che lavorano all’interno del Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto, il più grande «centro per immigrati» d’Europa [1500 posti] e che contiene un Cie, un Cara e un centro d’accoglienza, denunciano la situazione «scandalosa» in cui versa quel luogo e dicono che si tratta di una «bomba a tempo che è pronta ad esplodere e che deve essere disinnescata al più presto». D’altronde per primi coloro vi sono rinchiusi non ne possono più, e infatti martedì scorso c’è stata una rivolta lunga e durissima durante la quale sono rimasti feriti due poliziotti e due finanzieri mentre quattro migranti sono stati arrestati.
In un comunicato stampa inviato alle agenzie il 9 aprile, Franco Maccari, segretario generale del Coisp [Sindacato indipendente di polizia] ha raccontato che «martedì sera si è rischiato grosso, quando all’interno del Cie decine di immigrati sono saliti sui tetti delle palazzine e hanno lanciato pietre e altri oggetti contundenti contro gli uomini delle forze dell’ordine in servizio nel campo. Polizia, carabinieri e guardia di finanza hanno dovuto affrontare una vera e propria guerriglia fino a notte fonda, per evitare che gli immigrati sfondassero le recinzioni per darsi alla fuga».
E non basta. Maccari ha aggiunto che «solo poche settimane fa nel centro sono stati incendiati alcuni container adibiti ad alloggi, e sempre negli ultimi mesi sono rimasti feriti, in diversi episodi di rivolte o risse scoppiate nel campo, un ispettore di polizia colpito da un sasso in pieno petto che ha riportato una frattura allo sterno, un brigadiere dei carabinieri e tre militari dell’esercito». Si è chiesto, Maccari: «Bisogna che qualche nostro collega ci lasci la pelle, perché si cominci a parlare del centro immigrati di Crotone e soprattutto si decida di chiudere questo ‘mostro’ che non dovrebbe esistere in un paese civile?»
Dopo gli incidenti di martedì, i quattro arrestati [due marocchini, un algerino e un tunisino] sono accusati di devastazione, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale. Chi è invece il responsabile delle «vergognose condizioni di vita per gli ospiti – è sempre il poliziotto Maccari a parlare – alloggiati in strutture fatiscenti e in pessime condizioni igienico-sanitarie?».
Il Cie calabrese è formato da due palazzine verdi, un tempo alloggi di una vecchia base dell’aeronautica militare, poi diventate Cpt, chiuse nel 2007 dal Viminale, e riaperte d’urgenza nel 2009 per trasferirvi parte degli immigrati dopo la rivolta e l’incendio nel Cie di Lampedusa. I due edifici sono divisi in un totale di quattro moduli, ma la maggior parte degli immigrati dorme nei containers con i servizi igienici in comune.
A Crotone ci sono ancora circa cento nuovi ingressi al mese. Non sono più africani passati dalla Libia ma kurdi, afghani e iracheni che transitano dal confine nord est dell’Italia.
Maccari ha raccontato che «in maniera incontrollata» quelli che lui chiama gli «ospiti» del centro «si moltiplicano durante le ore notturne, perché gli otto chilometri di recinzione esterna sono pressoché incontrollabili e centinaia di immigrati si introducono per mangiare e dormire, e non ci sono forze di polizia sufficienti ad assicurare un controllo adeguato». A gestire sia il Cara che il Cie sono «Le Misericordie d’Italia», di cui è stato presidente Daniele Giovanardi: e Maccari si stupisce delle difficili condizioni di vita e di lavoro nel centro, «condizioni – ha detto – che tra l’altro risultano inspiegabili alla luce delle cospicue somme di denaro elargite per finanziare la gestione dell’accoglienza degli immigrati e la manutenzione del centro».

Fonte: CLANDESTINO

venerdì 2 aprile 2010

IO ANTIRAZZISTA, E TU?

Sabato 3 Aprile organizziamo in collaborazione con il laboratorio hip-hop UrbanBeing una serata antirazzista, dal titolo "IO ANTIRAZZISTA". Parleremo di ciò che sta accadendo nell'Italia odierna e denunceremo l'orrore che si vive quotidianamente nei CIE, con proiezioni di video e musica hip-hop, dall'aperitivo fino a sera.
Prendiamo parola riguardo ciò che sta succedendo in Italia dal punto di vista dei diritti delle persone migranti. Lo facciamo perché la situazione è drammatica. Lo facciamo perché benché nei telegiornali non si parli della situazione di migliaia e migliaia di persone rinchiuse senza aver commesso nessun reato, non siamo CIEchi, non siamo CIEche. Constatiamo che oggi il fermo di alcuni migranti senza i documenti in regola fa già una notizia, mentre sembrerebbe non essere una notizia il fatto che oggi, viste le leggi in materia di immigrazione (pacchetto sicurezza e Bossi-fini in primis), è normale che ci siano persone che perdono il permesso di soggiorno in Italia, e con esso ogni minimo diritto.
Sta succedendo che in Italia la lega raddoppia i consensi rispetto alle elezioni regionali precedenti, e lo fa usando apertamente il linguaggio del razzismo.
Nei CIE italiani accadono stupri (come quello tentato su Joy e Hellen nel CIE di via Corelli a Milano), maltrattamenti, pestaggi (come dimostrano i video di YouReporter e di altre associazioni, che pubblichiamo sul nostro blog e che proietteremo domani). Nei CIE è addirittura vietato portare dentro i cellulari, e la comunicazione con l'esterno è resa quasi impossibile. Nei CIE ci vanno a finire persone che vivono in Italia da decine di anni, che hanno sempre lavorato e contribuito alla ricchezza sociale, economica e culturale del nostro paese, che hanno perso il lavoro e con esso anche il permesso di soggiorno.
La Bossi-fini, il pacchetto sicurezza e i CIE costituiscono un drammatico dispositivo di esclusione sociale, riducono esseri umani, migranti (come migranti eravamo noi italiani in tempi di fame), a braccia da usare nei lavori più duri e di cui disfarsi quando la crisi preme, o attraverso il cui lavoro nero e ipersfruttato, schiavizzato, uscire da una crisi non certo determinata da noi.
Di fronte a tutto ciò, di fronte ad una costrizione all'illegalità e alla clandestinità imposta dal legame tra il lavoro e la casa ed il rilascio del permesso di soggiorno (spesso quando è già scaduto), di fronte ai pestaggi, come quello che poche notti fa ha scatenato a Roma l'ennesima rivolta dei reclusi, crediamo sia impossibile stupirsi, e ci sentiamo più che mai vicini e vicine a tutti i reclusi ingiustamente, senza aver commesso reati, in questi lager. A loro va tutta la nostra solidarietà. A loro, ma anche a noi che potremmo andare a finirci domani, anche a noi che per via della cittadinanza italiana non ci finiremo mai ma che siamo solidali e antirazziste, dedichiamo l'impegno nel continuare il cammino, iniziato il Primo Marzo, verso la costruzione di un forte movimento NO CIE, per i diritti di tutti e contro le leggi razziste.
Ci interessa, e molto, denunciare anche ciò che sta succedendo in Toscana perché qua siamo, qua viviamo, e qua vogliamo continuare a vivere.
Durante la campagna elettorale la Lega Nord di Arezzo si è messa a distribuire ai mercati delle saponette usa e getta per poter pulirsi le mani dopo aver toccato una persona migrante: questa geniale idea forse ha fruttato al partito xenofobo un incremento sostanziale rispetto alle precedenti regionali, in quanto è passato dall'1,3% del 2005 all'8,35% delle recenti elezioni (attestandosi in provincia di Arezzo sopra la media regionale, che è del 6,5%, dunque).
Negli ultimi mesi succede che sui treni ci sono agenti della polfer che chiedono i documenti. Fin qui tutto potrebbe anche sembrare normale, ma ciò diventa meno normale se si pensa al fatto che non è abituale per i toscani sentirsi chiedere i documenti ed essere identificati sul treno, molti di noi studiano o lavorano in città come Firenze o Pisa, e non siamo affatto abituat@ a tali "premure", né ci sentiamo più sicur@. Non ci sembra normale nemmeno il fatto che i documenti non vengano chiesti a tutti i passeggeri indistintamente, ma solo ad uno scompartimento per vagone, quello con più persone di carnagione scura, o dai tratti inconfondibilmente stranieri, come gli occhi a mandorla per esempio. Cosa succede se un cittadino è senza documenti?
Ci idignamo di fronte a una società e a delle istituzioni che criminalizzano i migranti, non vogliamo assolutamente una Toscana in salsa leghista, e quando apprendiamo della pratica di tali controlli ci viene in mente Milano, con le retate anti-immigrati fatte dai vigili sui pullmann di linea, ci vengono in mente gli anni più bui del secolo scorso (che molti di noi non hanno visto, ma che nell'Italia di oggi riescono ad immaginarsi perfettamente).
Allora invitiamo tutti i cittadini democratici a riconoscere gli atti di straordinario razzismo (non è ordinario controllo quello), e a far sentire il proprio rifiuto: rendiamo pubblico il numero della nostra associazione e mettiamo a disposizione i nostri legali per chi, senza documenti, dovesse incorrere in problemi di questo tipo e avesse bisogno di un legale.
Ci preme sottolineare la nostra preoccupazione per quanto espresso in campagna elettorale circa la possibilità di una collaborazione della Regione con il Governo, riguardo la costruzione di un CIE in Toscana, sebbene sotto forma di "piccoli centri attenti alla dignità e ai diritti umani". Ci riesce impossibile pensare come dei centri di identificazione ed espulsione, regolati da accordi nazionali, possano sul territorio toscano, se costruiti, assumere la forma di centri volti all'integrazione e alla regolarizzazione dei detenuti. I CIE sono disumani per natura essendo realizzati per rinchiudere senza un giusto processo, persone colpevoli di soli illeciti amministrativi (mancanza di documenti) e non reati.
Per la prima volta dal 1938, anno delle leggi razziali approvate dal fascismo, assistiamo ad una punizione della condizione della persona e non del comportamento.
Il trattenimento nei CIE è altamente inconstituzionale poichè incide sulla libertà personale del migrante. L’articolo 13 della Costituzione tutela la libertà come diritto fondamentale anche allo "straniero comunque presente sul territorio dello stato".
Sulla base di esperienze dirette, testimonianze documentate, reportage, filmati, inchieste e denunce di associazioni autorevoli come Medici senza Frontiere e Amnesty International ma anche funzionari statali, tecnici, esperti, esponenti del volontariato e dell’associazionismo affermiamo l'inconstituzionalità dei CIE, centri di annientamento della dignità umana che riflettono tristemente la condizione di un Paese vittima e colpevole di un razzismo sempre più diffuso e radicato.
Chiediamo di riflettere sugli avvenimenti accaduti nei CIE (pestaggi e ribelioni), e di ascoltare la voce del mondo dell'associazionismo, delle basi religiose, di chi denuncia lo stato di invivibilità, gli atti di auto-lesionismo e di suicidio ai quali in molti ricorrono pur di sottrarsi alla condizione atroce alla quale sono sottoposti. Chiediamo alla Regione e al Presidente vincente di dire un NO CHIARO ai CIE in Toscana, poichè per la tutela della dignità umana non ci si può appellare all'uso di mezze misure. Chiediamo alla Toscana di dare un segnale forte all'intero paese e rifiutare il clima xenofobo e intollerante perpetuato costantemente e alimentato dalla Legge Bossi-Fini, dicendo un No chiaro ai Cie.
Chiediamo alla Toscana di rimanere democratica e di mantenere il giudizio fortemente critico contro la legge Bossi-Fini come garantito dal "Programma Toscana Democratica" e di applicare con coerenza i principi di integrazione e rispetto dei diritti umani sanciti dalla legge in immigrazione che la Toscana si è data.
La splendida giornata del Primo Marzo 2010, in cui migliaia e migliaia di cittadini toscani, insieme a cittadini di mezza Europa, hanno gridato un forte no al razzismo e alle discriminazioni, hanno ribadito il diritto a migrare, sancito dalle convenzioni internazionali per i diritti dell'essere umano, hanno detto un chiaro no ai lager per migranti, no ai CIE: né in Toscana, né altrove.
Invitiamo tutti i comitati locali toscani a riprendere il discorso sui diritti e contro il razzismo, anche in vista della prossima assemblea nazionale del movimento Primo Marzo, che si terrà a Roma l'11 Aprile, in cui si discuteranno le priorità del movimento.
Sabato 3 Aprile, in collaborazione con il laboratorio hip-hop UrbanBeing, serata antirazzista: "IO ANTIRAZZISTA". Parleremo di ciò che sta accadendo nell'Italia odierna e denunceremo l'orrore che si vive quotidianamente nei CIE, con proiezioni di video e musica hip-hop, dall'aperitivo fino a sera. Dalle 19 in poi presso gli spazi del cs Intifada in via 25 Aprile a Ponte a Elsa.

cittameticcia@gmail.com
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lunedì 15 marzo 2010

Mandati a morire


Gli eritrei e i somali respinti in Italia, sono da diversi mesi nelle carceri libiche e rischiano di essere rimpatriati nel loro paese dove li attende la corte marziale e i lavori forzati.

Di Gabriele Del Grande.


Dieci febbraio 2010. Gaeta. Il ministro dell'Interno Roberto Maroni stringe la mano all'ambasciatore libico in Italia Hafed Gaddur. L'Italia ha mantenuto l'impegno sottoscritto dal governo Prodi nel 2007. E oggi consegna alla Libia altre tre motovedette per i pattugliamenti anti emigrazione al largo di Tripoli, dopo le tre consegnate nel maggio 2009. La ricetta dei respingimenti, voluta dal governo Prodi e messa in atto dal governo Berlusconi, ha dato i frutti sperati. Gli sbarchi in Sicilia si sono azzerati negli ultimi mesi. Nel 2009 sono arrivate via mare poco più di 9mila persone a fronte di oltre 36mila giunte l'anno precedente. Dall'inizio dei respingimenti, nel mese di maggio, il numero degli arrivi è calato addirittura del novanta percento. "Abbiamo fermato l'invasione", recitano tronfi d'orgoglio i manifesti elettorali della Lega. Nessuno però ha ancora detto agli italiani che fine hanno fatto i respinti.
A dieci mesi di distanza dai primi refoulement, abbiamo ricostruito il loro destino, grazie a una rodata rete di informatori in Libia. Molti dei respinti sono stati rimpatriati nei loro paesi. Ma non i rifugiati politici, somali e eritrei, che sono ancora in carcere. I primi si trovano in due campi, a Tripoli e a Gatrun, mille chilometri più a sud, in pieno deserto. Gli eritrei invece sono divisi tra Misratah, Zlitan, Garaboulli e, le donne, Zawiyah. E mentre in Italia si brinda al giro di vite sugli sbarchi, i rifugiati in Libia rischiano l'espulsione. Rischiano sì, perché a differenza dei contadini del Burkina Faso o dei ragazzi delle periferie di Casablanca, per un eritreo o per un somalo il rimpatrio significa arresti e persecuzioni. E in alcuni casi, la vita. La Somalia è in guerra civile dal 1991. E il regime eritreo dal 2001 stringe in una morsa sempre più serrata l'opposizione e l'esercito. La repressione è tale, che recentemente i servizi segreti eritrei sono arrivati addirittura in Libia alla ricerca degli oppositori.
È successo nel gennaio 2010. L'idea iniziale era di organizzare un'espulsione di massa, come fece l'Egitto nel 2008 quando rimpatriò in un mese ottocento eritrei, in gran parte disertori. Così, tra gennaio e febbraio, centinaia di eritrei detenuti in Libia sono stati schedati. Alle iniziali proteste di chi rifiutava di fornire le proprie generalità all'ambasciata, la polizia libica ha risposto con la violenza. Nel campo di Surman gli scontri sono stati particolarmente cruenti. Ma alla fine la diaspora eritrea è riuscita a esercitare una certa pressione sulle organizzazioni internazionali e sulla stampa. E il progetto di rimpatrio si è ridimensionato, assumendo però un carattere ancora più preoccupante.

Secondo Radio Erena, una radio indipendente dell'opposizione eritrea basata a Parigi, tra le centinaia di eritrei detenuti in Libia, il regime ne avrebbe selezionati dodici e li avrebbe espulsi. I fatti risalirebbero al 2 febbraio 2010. Il criterio con cui i dodici sarebbero stati scelti è il ruolo politico che avevano in patria prima della fuga. Tutti infatti erano assunti presso diversi uffici ministeriali e due di loro erano membri dell'aviazione militare eritrea. Radio Erena ha diffuso una lista dei nomi:Nove dei dodici espulsi, sarebbero ancora detenuti in modo arbitrario nel carcere eritreo di Embatkala. Si tratta di: Zigta Tewelde, Asmelash Kidane, Zeraburuk Tsehaye, Zewde Teferi, Yohannes Tekle , Ghebrekidan Tesema, Tilinte Estifanos Halefom, Nebyat Tesfay e Tilinte Tesfagabre Mengstu. Inoltre, Habte Semere e Yonas Ghebremichael, che prima di fuggire dall'Eritrea lavoravano nell'ufficio del presidente Afewerki, sarebbero in queste ore detenuti nella prigione di Ghedem, vicino Massawa.

In Eritrea li attendono anni di carcere duro e torture. Ma per gli eritrei rimasti in Libia la situazione non è migliore. Nel centro di detenzione di Garabulli sono in centosettanta, rinchiusi insieme a ventiquattro somali, in celle grandi quanto un monolocale, trenta metri quadrati, dove vengono stipate fino a quaranta o cinquanta persone buttate a dormire per terra. Qui gli eritrei sono arrivati il 16 settembre, dal carcere di Bengasi, dove nel mese di agosto una rivolta dei detenuti era stata sedata nel sangue dalla polizia libica, con l'uccisione di almeno sei prigionieri somali. Anche qui il 28 dicembre 2009 sono arrivati i formulari dell'ambasciata eritrea per l'identificazione e il rimpatrio. Ma nessuno li ha voluti firmare per paura di essere perseguitato in patria. Sono quasi tutti disertori dell'esercito e in Eritrea rischiano la corte marziale e i campi di lavoro forzato. A fargli cambiare idea sono state le torture della polizia libica. L'11 gennaio li hanno fatti uscire uno a uno, nel corridoio del carcere, riempiendoli di manganellate. Un uomo è stato ammanettato e appeso al muro per i polsi, perché fosse da esempio agli altri. Alla fine hanno riempito i formulari in centoventi, altri cinquanta hanno continuato a rifiutare nonostante i pestaggi. Oggi hanno tutti la stessa paura. Chi ha firmato teme di essere rimpatriato. Chi non lo ha fatto ha paura di essere trasferito in un'altra prigione e di passare anni nelle galere libiche. Gli anni migliori della vita. Magari con una famiglia qui in Italia che li aspetta e che da mesi non ha più loro notizie. Ma non si preoccupino gli italiani. Maroni l'ha detto e ripetuto: "La Libia fa parte dell'Onu e in Libia è presente l'Alto commissariato per i rifugiati della nazione Unite".

Tratto da: PeaceReporter

mercoledì 3 marzo 2010

Primo Marzo 2010 - Un nuovo comune della cittadinanza


di Nicola Grigion

Dalla capitale al profondo Sud, dal Nord Ovest dell’industria al Nord Est della produzione diffusa, il Primo Marzo 2010 è stata una giornata ricca di colore.

Cortei (partecipatissimi) e iniziative, in oltre 60 città italiane, certo, per esprimere contrarietà al razzismo ed alle attuali politiche sull’immigrazione, ma anche per affrontare situazioni e percorsi concreti, come la questione degli sfratti, dello sfruttamento nel lavoro, della precarietà, della gestione securitaria delle città.

Potremmo, in questo 2 Marzo, il giorno dopo, essere affascinati dall’idea di arrivare ad una sintesi, o farci ingannare facilmente dalla possibilità di raccontare le 24 ore appena trascorse in maniera rituale, retorica. Ma tutto questo non potrebbe che risultare un abito troppo stretto per una giornata che invece apre inediti scenari, tutti da scoprire, tutti da percorrere.

Perchè il Primo Marzo 2010 non è stato semplicemente il giorno dei migranti, non è stata una giornata di sciopero e mobilitazioni dei soli stranieri, per i soli diritti degli stranieri. Piuttosto, il Primo Marzo 2010, raccontato dalle migliaia di facce che lo hanno animato, lascia tutti noi con l’idea e la convinzione che insieme, italiani e stranieri, possiamo costruire un nuovo linguaggio per abitare la crisi.

Perchè se è vero che i migranti sono una parte fondamentale di un paese che sulla precarietà di molti costruisce la sua economia (in crisi), è vero anche che sembra sempre più remota la possibilità di immaginare ricomposizioni semplici di questa marea eterogenea che è il precariato diffuso. E dentro ad esso, ancor più improbabile risulta immaginare la condizione specifica dei migranti come un elemento di comunanza in grado di produrre unità, rivendicazioni comuni, percorsi condivisi.
Semmai, la fotografia del presente, ancora sfocata ed indefinita (ma proprio per questo carica di possibilità) lascia intuire che la condizione dei migranti colora delle sue tonalità trasversalmente ogni ambito della nostra vita, ogni sfaccettatura della cittadinanza, ogni segmento del precariato e che proprio per questo il Primo Marzo è stato possibile.

Se una cosa ci ha detto, tra le tante, questa giornata, è proprio di smetterla con le monolitiche rappresentazioni dei migranti, con le retoriche sulla loro situazione, come se fosse qualcosa di separato dal resto della società e non invece una sua condizione viscerale, strutturale, epidemica. Le piazze del Primo Marzo ci hanno segnalato che i migranti non sono semplicemente una delle tante parzialità che abitano questo mondo precario, ma che invece attraversano la cittadinanza in ogni sua declinazione e che su questo terreno stratificato, trasversale, è forse possibile riposizionare un nuovo cammino.

Perchè se a Rosarno una rivolta contro lo sfruttamento ci aveva fatto assaporare l’idea della ribellione "nera" (conclusasi poi con le espulsioni), in via Padova, poche settimane dopo, avevamo capito che rappresentare gli stranieri, gli immigrati, i migranti, non è cosa semplice, che la scomposizione sociale, accellerata dalla crisi, produce solchi profondi anche tra chi vive condizioni di vita simili, che la ricomposizione dei migranti, come fossero qualcosa di omogeneo, è forse solo un rischioso esercizio teorico e che, piuttosto, esistono elementi ricompositivi che parlano linguaggi, contradditori, ma non per questo irreali e per questo inaggirabili.

Con questi occhi, con la voglia di guardare dentro alle pieghe del presente, quelle che anche il Primo Marzo ha contribuito positivamente a farci scoprire, ci proiettiamo invece verso un nuovo orizzonte.

Tra le diverse sfumature di giallo disegnate dalla giornata senza di noi, proviamo a cogliere quella che più ci parla del nostro futuro: c’è un nuovo spazio da costruire, un nuovo terreno su cui praticare la trasformazione, che ha bisogno di parzialità certo, ma anche di costruzione di pensiero, di pratiche e di vita in comune. Non la rivolta dei "neri", neppure la proposta di un generico "precariato unito", ma percorsi formativi e performativi di una nuova realtà, un nuovo modo di fare società. Non si tratta di dare cittadinanza ai nuovi cittadini, ma di costruire un nuovo comune della cittadinanza per tutti.

Tratto da >> MeltingPot Europa

giovedì 25 febbraio 2010

PROGRAMMA DEL PRIMO MARZO EMPOLESE, TAMALES DE CHIPIL IN CONCERTO


Si è svolta oggi la conferenza stampa di presentazione del Primo Marzo 2010 dell'empolese-valdelsa. Il nostro Primo Marzo antirazzista sarà giallo, come quello di tutte le piazze d'europa. Quindi invitiamo tutte le persone che vogliono partecipare all'iniziativa a indossare abiti gialli se possibile, o a portare un nastrino giallo attaccato da qualche parte.
Sarà un Primo Marzo che catalizzerà la solidarietà di molti artisti e artiste del territorio, in molti si sono interessati all'iniziativa, segno che la questione del razzismo, sia di quello delle leggi (Bossi-fini e pacchetto sicurezza in primis) sia di quello diffuso e strisciante nella nostra società in crisi, è molto sentita anche nel territorio dell'empolese-valdelsa.
La giornata si svolgerà in Empoli, con un presidio fisso in Piazza della Vittoria dalle 15 del pomeriggio fino alle 20.30 della sera. Al presidio si alterneranno gli artisti del territorio che hanno dato l'adesione, i giocolieri, i musicisti, il laboratorio di hip-hop Urban Being, nato da qualche mese a Empoli...
Il momento focale della giornata sarà intorno alle 18, quando in contemporanea in tutta Italia lasceremo volare liberi i palloncini gialli ecologici che il comitato nazionale ha preparato per l'occasione, faremo un corteo antirazzista per le vie del centro storico di Empoli e ascolteremo il concerto dei TAMALES DE CHIPIL, che per l'occasione hanno pensato di riunirsi per un concerto straordinario, in una giornata che segnerà, come noi tutti ci auguriamo, un nuovo inizio, da cui partire per costruire un nuovo concetto di cittadinanza. Il cammino è lungo, e oggi molto arduo, ma idea condivisa all'interno del comitato empolese, e di tutto il movimento nazionale che sta costruendo questa giornata meticcia di sperimentazione è quella di non fermarsi e andare avanti.
In conferenza stampa abbiamo presentato anche il dossier "Mandiamoli tutti a casa... i luoghi comuni", che smonta, avvalendosi dei numeri reali, i luoghi comuni sull'immigrazione in Italia. Un dato su tutti, spesso si sente il ministro dell'interno annunciare in pompa magna che questo governo ha ridotto drasticamente gli sbarchi sulle nostre coste, sostenendo la tesi che così il governo lotta contro l'immigrazione clandestina: in questi ragionamenti c'è molta malafede e demagogia, in quanto statistiche (del ministero dell'interno stesso) dicono chiaramente che via mare arriva soltanto il 10% dell'immigrazione irregolare. Si dichiara di lottare contro l'immigrazione clandestina ma si fanno, con i respingimenti, atti illegali (prima di espellere chiunque gli stati membri dell'UE devono dare la possibilità alle persone di fare richiesta d'asilo se ne hanno diritto, oltre che disumani (i migranti rispediti in Libia sono certamente destinati a torture di ogni tipo). Il dossier si può scaricare da Internet, anche dalla pagina facebook del comitato per il Primo Marzo 2010 empolese-valdelsa.
La cosa più interessante del Primo Marzo, oltre alla novità del respiro europeo che ha questa iniziativa, è la sua composizione meticcia, che rispecchia quella che ormai è la composizione della nostra società. Sul manifesto nazionale si dice chiaramente che la distinzione tra "noi" (autoctoni) e "loro" (migranti) ha da cadere, per lasciare spazio ad una società inclusiva e cosciente del proprio essere molteplice, con tutte le contraddizioni, i problemi, ma anche i valori, la crescita che ciò si porta dietro. Dunque meticcia sarà la composizione anche del Primo Marzo empolese e italiano, tutti insieme grideremo forte che i diritti sono per tutti e tutte, che non ci sono cittadini di serie A e di serie B. Che il razzismo è una questione che non riguarda solo i migranti, ma riguarda, e da vicino, tutta la nostra società. Italiani e migranti saremo insieme dunque a dire che siamo contro ogni ipotesi di guerra fra poveri, contro ogni contrapposizione fra garantiti e non garantiti, tra occupati e disoccupati, tra precarie e indeterminati, tutto ciò in totale opposizione a quello che sta cercando di imporre l'attuale governo del nostro Paese.

A livello locale i punti della piattaforma, condivisi nelle assemblee del comitato empolese-valdelsa, sono i seguenti:
- NO AL RAZZISMO ISTITUZIONALE
- PER IL RITIRO IMMEDIATO DEL PACCHETTO SICUREZZA
- NO AI CENTRI DI IDENTIFICAZIONE ED ESPULSIONE (CIE), NE' IN TOSCANA NE' ALTROVE
- PERMESSO DI SOGGIORNO GRATIS E SUBITO PER TUTTE/I

Invitiamo tutta la cittadinanza democratica e sensibile al problema del razzismo che stiamo vivendo a partecipare insieme a tutti noi all'iniziativa. Tutti gialle. Dalle 15 alle 20.30 in Piazza della Vittoria a Empoli, alle ore 18 lancio dei palloncini, corteo contro il razzismo e per i diritti in Empoli, concertone dei TAMALES DE CHIPIL, che porteranno tutto il loro folk-patchanca e la loro energia.


COMITATO PER IL PRIMO MARZO 2010 EMPOLESE-VALDELSA