ASSOCIAZIONE PER I DIRITTI DI CITTADINANZA

Empoli

domenica 31 gennaio 2010

NO AL CIE IN TOSCANA


Le ultime dichiarazioni sui CIE del candidato presidente del PD alla regione Toscana, il quale sostiene che "i centri di identificazione ed espulsione non devono essere luoghi di detenzione preventiva, ma centri dove debbano essere rispettati i diritti umani", ci lasciano a dir poco perplessi.
Questi (non) luoghi sono per definizione stessa la negazione di elementari diritti umani, si pongono al di fuori della sfera dei diritti umani, dunque com'è possibile pensare che al loro interno possano essere rispettati questi diritti? Questa ci appare una contraddizione in termini.
Chi va a finire dentro i CIE? Dentro queste carceri vanno a finire persone la cui unica colpa è il non avere i documenti, dunque sono luoghi che limitano la libertà di circolazione di esseri umani che non hanno commesso reati, a meno che non si voglia sostenere che l'introduzione del reato di clandestinità fatta dal governo nazionale col pacchetto sicurezza (prima questo era un reato amministrativo, non
penale) è condivisibile.
Spesso sentiamo portare alti i valori di civiltà di questa regione, che per prima nel mondo ha eliminato la pena di morte, crediamo che oggi sia necessario attualizzare il discorso sulla civiltà, sostenendo che la Toscana è territorio di grandi valori civili e di accoglienza anche per il fatto che non vi sono luoghi di detenzione preventiva. Rivendicare questo oggi, di fronte a un governo nazionale di destra che semina odio, paura, e criminalizzazione del migrante, è ancora più importante. Non ci sono luoghi dove rinchiudere persone che non hanno commesso nessun reato, non ci sono luoghi dove giornalisti, associazioni, familiari, nessuno può entrare, oggi in Toscana. Anche per questo siamo orgogliosi di viverci. I soldi che il governo vuole
stanziare per i CIE, chiediamo che siano stanziati per progetti di accoglienza.
La nostra associazione sta lavorando per sensibilizzare i cittadini di Empoli e della valdelsa con l'intento di stimolare la più ampia solidarietà e partecipazione possibile verso l'iniziativa del 1 Marzo 2010, giornata in cui in tutta Europa si alzerà un grido collettivo contro il razzismo e la precarietà. Vorremmo, come Città Meticcia, che
quel giorno sia un movimento meticcio, composto da nativi e migranti, associazionismo e singoli cittadini, a gridare che il mondo che vogliamo è antirazzista. Solo così, non lasciando i migranti soli in una battaglia di civiltà, per una vita degna, possiamo uscirne più forti di prima. A Rosarno, dove è successo tutto l'opposto, ai migranti che si sono rivoltati contro criminalità organizzata e
sfruttamento, è toccata anche la deportazione nei CIE e i rimpatri, anziché una sacrosanta regolarizzazione.
La questione dei diritti civili, del diritto al futuro, è una questione di dignità che ci riguarda tutti da vicino, italiani e migranti, precari e disoccupati, cassintegrati e lavoratori, studenti e insegnanti.
Tanti sono i comitati territoriali per il primo marzo 2010 che (come a Empoli) stanno nascendo in Toscana, invitiamo tutti i comitati, viste le ultime dichiarazioni del ministro Maroni, che vorrebbe un CIE in ogni regione, a prendere posizione chiara su questo che, se passasse, segnerebbe un passo indietro grandissimo, un punto di non ritorno dal punto di vista del livello di civiltà e di accoglienza della nostra regione.

martedì 12 gennaio 2010

Quel che resta di Rosarno


Perché, dopo questa ribellione, sarà più difficile mentire sull’immigrazione

di Alessandra Sciurba


Sarebbe bello pensare che il vento sta cambiando. Oggi sembra quasi possibile indugiare in questa speranza.
Dopo il primo giorno di tentennamenti, gran parte della stampa, per una volta, sta riflettendo onestamente sull’accaduto.
Ci hanno provato, Maroni in testa, a liquidare Rosarno come un’orgia di violenza immotivata, quasi un impazzimento collettivo derivante dallo stato di clandestinità che sempre più, in questo paese, viene raccontato come sinonimo di criminalità connaturata.
E invece no, il coraggio di chi si è ribellato ha costretto a diradare almeno in questi giorni la cortina di menzogne che da anni in Italia accompagna ogni discorso che riguardi l’immigrazione. Non ha retto neppure per un istante l’ipotesi che il problema derivi dalla mancata applicazione della linea dura voluta da questo governo. Persino la sinistra istituzionale, incredibilmente, ha avuto per un a volta il coraggio di essere davvero opposizione, anche se pesanti rimangono sulle sue spalle le responsabilità dell’annientamento dei diritt i dei migranti in questo paese.

Rosarno ha mostrato al di là di ogni discorso possibile, che la ribell i one per difendersi dai soprusi, dallo sfruttamento, dal razzismo, non solo è giusta ma è anche possibile. E questa è una cosa che in un paese come l’Italia molti hanno dimenticato, specialmente a Sud, dove la rassegnazione è uno stile di vita. Dove si accetta l’inaccettabile come fosse una punizione divina.
La rivolta di Rosarno, inoltre e soprattutto, ha messo a nudo tutte le ipo crisie delle ultime leggi che in Italia hanno gestito il fenomeno dell’immigrazione: leggi fatte ad hoc per favorire il massimo sfruttamento possibile della forza lavoro di migliaia di donne e uomini abbattendo tutti i costi, ovvero de molendo tutti i loro diritti.
Che la Bossi-Fini produca e alimenti solo la clandestinità è un dato oggettivo, banale, basta guardare la realtà. E non perché la legge venga troppo spesso elusa, non perché ci siano troppi magistrati che non la applicano, come ha detto il Ministro Gelmini intervistata dalla trasmissione televisiva Mezz’ora.
La Legge Bossi-fini produce strutturalmente illegalità perché impedisce, con calcolo, qualunque forma di regolarizzazione anche per chi ha un la voro da anni, allo stesso modo in cui rende impossibile, di fatto, l’attivazione di canali di ingresso .legali sul territorio. Pensiamo per un momento all’ultimo decreto flussi, quando 700.000 domande di regolarizzazione furono presentate da altrettanti datori di lavoro che offrivano un posto fisso, la certezza di un’ab itazione, e persino la disponibilità a pagare il biglietto di un eventuale rimpatrio del loro lavoratore immigrato. Di queste domande solo 170.000 furono accolte perché così stabilivano le quote, lasciando in tal modo 530.000 persone che avrebbero potuto fare ingresso nella legalità in una situazione di clandestinità forzata. Quale logica può mai giustificare questi dati? È ideologico leggere in questi numeri una volontà politica di far rimanere in una situazione di precarietà assoluta e quindi di sfruttamento il maggior numero di persone possibile?
Anche i respingimenti verso la Libia voluti da Maroni potrebbero essere letti in questa chiave.
Chi erano le persone rimandate a subire torture e violenze nel paese di Gheddafi? Capri espiatori. Poche migliaia rispetto ai grandi numeri dei migranti che arrivano nel nostro paese quasi tutti con visti che poi scadono e non vengono rinnovati. Poche migliaia e quasi tutti (e sono le stime dell’Acnur a dirlo) profughi di guerra. Persone che avrebbero diritto all’asilo, persone che avrebbero diritto all’accoglienza e che quindi costerebbero e non sarebbero così facili da trasformare in mera forzo lavoro usa e getta. Due piccioni con una fava, questi respingimenti: inscenare il grande spettacolo muscolare di uno Stato che “affronta” il problema dell’immigrazione clandestina ed evitare di sobbarcarsi i costi che la presenza di rifugiati politici inevitabilmente comportano. E nel frattempo, da frontiere meno spettacolarizzate, l’esercito di braccia necessarie a muovere questo paese non ha mai cessato di arrivare. Anche in tempo di crisi, a raccogliere le arance a 25 euro al giorno e a dormire in mezzo ai topi gli italiani (o almeno la maggior parte di loro) non ci vanno.
Diciamolo finalmente: non solo le aziende, ma anche le piccole e grandi mafie che gestiscono gran parte delle raccolte stagionali su gran parte del territorio italiano non potevano trovare un alleato migliore della normativa vigente in materia di immigrazione. Da anni ormai arrivano le retate della polizia, a fine stagione, a togliere dagli impicci padroncini e caporali che non vogliono pagare i loro lavoratori. Retate che sempre se la prendono con i migranti che hanno lavorato in nero e praticamente mai con chi da quel lavoro in nero ha tratto la sua fortuna. Ci mancava solo il reato di clandestinità per dare l’ultimo e più terribile strumento a chi tratta i migranti come carne da comprare a peso: la minaccia di una delazione sempre possibile: “Non protestare. Anche se non ti pago, anche se quasi ti ammazzo di botte. La legge dà ragione a me perché se vai a raccontare qualcosa, per il solo fatto di non avere un permesso di soggiorno sei tu quello che verrà trattato come un criminale”.
Solo loro, gli uomini che da anni subiscono tutto questo, potevano raccontarlo con tanta chiarezza. Ci abbiamo provato a lungo noi ricercatori, attivisti antirazzisti laici e cattolici, membri delle associazioni e del volontariato, e tutte le volte siamo stati tacciati di mala fede e ideologia e certo non abbiamo avuto la stessa potenza e capacità.
Loro invece, pagando un prezzo altissimo, sono riusciti a farsi ascoltare. Con una dignità da cui imparare e che ancora una volta i soliti noti stanno cercando di far passare per violenza e brutalità.
È normale che anche la popolazione di Rosarno adesso sia sconvolta. C’è chi ha sparato e non è difficile immaginare di quale tipo di gente si tratti, c’è che si sta dando anima e corpo ai peggiori deliri razzisti che, guarda caso, sono accompagnati da dichiarazioni di ammirazione verso la politica della Lega e del Ministro Maroni. Ma ci sono anche tanti silenziosi che forse stanno riflettendo. Da una terra vessata e troppo spesso muta di fronte ai ricatti e alla sopraffazione si è levato un grido di rivolta che parla un’altra lingua, ma che forse si è fatto interprete di sentimenti taciuti da tanti italiani che da sempre vivono nella paura. Peccato che il divide et impera in tempi come questi funzioni così bene e la guerra di poveri contro i più poveri allontani la possibilità di immaginare un movimento che possa modificare una realtà marcia come quella meridionale, che però affonda le sue radici in un intero Stato italiano nato anche da un compromesso con la mafia dal quale non si è più liberato.
Adesso, tra le tante domande, ne resta una che preme più delle altre: dove finiranno queste migliaia di persone che con tanta forza si sono ribellate? L’unico modo per “difenderle”, come è stato dichiarato, è stato ad oggi quello di internarle dentro i centri quei centri di detenzione amministrativa che la televisione si ostina ancora a chiamare centri di accoglienza. Molti, probabilmente verranno espulsi, e per il ricordo che dell’Italia porteranno con sé bisogna provare vergogna.
Quello che hanno fatto, però, dovrà rimanere. Come un nuovo inizio fortissimo, giusto, che ha rimescolato ogni cosa facendo al contempo chiarezza.
Lo sciopero dei lavoratori migranti che si sta preparando in Italia come in Francia per il prossimo Marzo, così come la manifestazione romana fatta a sostegno della ribellione di Rosarno bloccata a manganellate prima che potesse arrivare al Viminale, potrebbero essere allora, finalmente, ulteriori passi di un percorso nuovo. Finalmente nuovo.

Tratto da MeltingPot