ASSOCIAZIONE PER I DIRITTI DI CITTADINANZA

Empoli

venerdì 21 maggio 2010

IL CLANDESTINO E IL BANCHINO


Esprimiamo profonda indignazione per la ridicola provocazione che domani andrà in scena in via del Giglio a Empoli. Secondo le farneticanti esternazioni di Pdl azione giovani e gioventù italiota presenti nel comunicato di lancio dell'iniziativa, domani in via del Giglio ci sarà un banchino di raccolta firme, sembrerebbe di capire, per la promozione di un "Referendum abrogativo della legge Regionale Toscana nr. 29 del 09.06.2009" (norme per l'accoglienza, l'integrazione partecipe e la tutela dei cittadini stranieri).

Secondo gli organizzatori del banchino questa legge sarebbe "illegittima" e addirittura "equipara i cittadini stranieri clandestini a quelli regolari". Tali attacchi alla legge regionale in materia di immigrazione dimostrano ignoranza verso la legge stessa, o malafede, e in ogni caso c'è una evidente volontà di spargere odio nella nostra comunità. Odio di esseri umani verso altri esseri umani.

Questi stessi esponenti del pdl si dimostrano anche avulsi dalla realtà e tentano un'improbabile distinzione netta tra chi è regolare e chi è clandestino, ignorando che queste sono condizioni giuridiche vissute entrambe dalla grande maggioranza dei cittadini e delle cittadine migranti, praticamente tutti se si escludono i calciatori.
Anzi diciamo che fanno finta di ignorare la realtà delle cose, e ciò è ancora peggio perché sintomo di malafede. Infatti porta proprio il nome di un loro esponente e di Bossi la legge che non permette canali di ingresso regolari nel nostro Paese, costringendo nell'illegalità milioni di persone (legge Bossi-Fini): tale legge prevede che chi entra in Italia abbia già un lavoro, ma chi assumerebbe mai una persona che ancora non conosce?
E' addirittura dell'attuale governo in carica il "Pacchetto Sicurezza", varato da Maroni e contestatissimo dalle associazioni per i diritti umani, che peggiora (ebbene si, era possibile) la Bossi-Fini restringendo ulteriormente i diritti dei migranti in Italia: impedimenti ai ricongiungimenti familiari, prolungamento del tempo di prigionia nei CIE, introduzione della disumana e criminale pratica dei respingimenti in mare.

Dalle "argomentazioni" dei politici del banchetto è evidente una profonda ignoranza anche della carta costituzionale italiana che all'articolo 3 dice chiaramente che "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali..."

Non spetta certo a noi che siamo una semplice associazione di cittadini di diverse provenienze difenderla, ma entrando nel merito della legge toscana che non piace al pdl ci sembra che essa non faccia altro che riconoscere la carta costituzionale, non dice niente di più in realtà, continua a non riconoscere ai cittadini sprovvisti di documenti nessun diritto a parte quello alle cure mediche. La legge toscana è financo troppo chiara nel ribadire che le azioni si rivolgono verso i cittadini stranieri in regola, in quasi tutti gli articoli si ribadisce "ai cittadini in regola col soggiorno".

Molto di più potrebbe fare una legge che metta al centro veramente l'essere umano. Prima si è esseri umani, poi si ha i documenti: i diritti umani si applicano, come dice la parola stessa agli esseri umani, a prescindere dalle condizioni giuridiche. L'Italia ci risulta ancora firmataria della carta fondamentale dei diritti dell'uomo, la quale sancisce anche il diritto a migrare come fondamentale di ogni essere umano, e il Primo Marzo, a Empoli come in tutta Italia lo abbiamo detto a gran voce.

Riteniamo il banchino di domani una becera provocazione il cui unico intento è spargere odio e paura, potevano raccogliere le firme a favore del razzismo e sarebbe stato lo stesso. Una provocazione verso tutta la comunità empolese, verso vecchi e nuovi cittadini, e gli esponenti del pdl promuovendola non fanno altro che dimostrare la loro bassezza politica, culturale e morale.

Oggi, in questa Italia malata, crediamo sia molto più opportuno, per il bene di tutto il Paese, andare a scuola, non distruggerla... d'altronde anche quello all'istruzione è un diritto primario di ogni essere umano e di ogni bambino della terra, a prescindere dalla condizione sociale sua o dei suoi genitori.

Siamo certi e certe che di firme ne raccoglieranno ben poche, che Empoli si dimostrerà ancora una volta libera da odio e razzismo: quel banchino infondo è l'unico clandestino.

domenica 11 aprile 2010

Cie di Crotone, i poliziotti: «È indegno di un paese civile»


Il segretario del Coisp racconta le condizioni di vita e di lavoro all’interno del centro più grande d’Europa e che martedì c’è stata una rivolta dei migranti reclusi: «Abbiamo affrontato una vera e propria guerriglia durata ore».

Nessuno ve lo ha raccontato, ma è da mesi che i poliziotti che lavorano all’interno del Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto, il più grande «centro per immigrati» d’Europa [1500 posti] e che contiene un Cie, un Cara e un centro d’accoglienza, denunciano la situazione «scandalosa» in cui versa quel luogo e dicono che si tratta di una «bomba a tempo che è pronta ad esplodere e che deve essere disinnescata al più presto». D’altronde per primi coloro vi sono rinchiusi non ne possono più, e infatti martedì scorso c’è stata una rivolta lunga e durissima durante la quale sono rimasti feriti due poliziotti e due finanzieri mentre quattro migranti sono stati arrestati.
In un comunicato stampa inviato alle agenzie il 9 aprile, Franco Maccari, segretario generale del Coisp [Sindacato indipendente di polizia] ha raccontato che «martedì sera si è rischiato grosso, quando all’interno del Cie decine di immigrati sono saliti sui tetti delle palazzine e hanno lanciato pietre e altri oggetti contundenti contro gli uomini delle forze dell’ordine in servizio nel campo. Polizia, carabinieri e guardia di finanza hanno dovuto affrontare una vera e propria guerriglia fino a notte fonda, per evitare che gli immigrati sfondassero le recinzioni per darsi alla fuga».
E non basta. Maccari ha aggiunto che «solo poche settimane fa nel centro sono stati incendiati alcuni container adibiti ad alloggi, e sempre negli ultimi mesi sono rimasti feriti, in diversi episodi di rivolte o risse scoppiate nel campo, un ispettore di polizia colpito da un sasso in pieno petto che ha riportato una frattura allo sterno, un brigadiere dei carabinieri e tre militari dell’esercito». Si è chiesto, Maccari: «Bisogna che qualche nostro collega ci lasci la pelle, perché si cominci a parlare del centro immigrati di Crotone e soprattutto si decida di chiudere questo ‘mostro’ che non dovrebbe esistere in un paese civile?»
Dopo gli incidenti di martedì, i quattro arrestati [due marocchini, un algerino e un tunisino] sono accusati di devastazione, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale. Chi è invece il responsabile delle «vergognose condizioni di vita per gli ospiti – è sempre il poliziotto Maccari a parlare – alloggiati in strutture fatiscenti e in pessime condizioni igienico-sanitarie?».
Il Cie calabrese è formato da due palazzine verdi, un tempo alloggi di una vecchia base dell’aeronautica militare, poi diventate Cpt, chiuse nel 2007 dal Viminale, e riaperte d’urgenza nel 2009 per trasferirvi parte degli immigrati dopo la rivolta e l’incendio nel Cie di Lampedusa. I due edifici sono divisi in un totale di quattro moduli, ma la maggior parte degli immigrati dorme nei containers con i servizi igienici in comune.
A Crotone ci sono ancora circa cento nuovi ingressi al mese. Non sono più africani passati dalla Libia ma kurdi, afghani e iracheni che transitano dal confine nord est dell’Italia.
Maccari ha raccontato che «in maniera incontrollata» quelli che lui chiama gli «ospiti» del centro «si moltiplicano durante le ore notturne, perché gli otto chilometri di recinzione esterna sono pressoché incontrollabili e centinaia di immigrati si introducono per mangiare e dormire, e non ci sono forze di polizia sufficienti ad assicurare un controllo adeguato». A gestire sia il Cara che il Cie sono «Le Misericordie d’Italia», di cui è stato presidente Daniele Giovanardi: e Maccari si stupisce delle difficili condizioni di vita e di lavoro nel centro, «condizioni – ha detto – che tra l’altro risultano inspiegabili alla luce delle cospicue somme di denaro elargite per finanziare la gestione dell’accoglienza degli immigrati e la manutenzione del centro».

Fonte: CLANDESTINO

venerdì 2 aprile 2010

IO ANTIRAZZISTA, E TU?

Sabato 3 Aprile organizziamo in collaborazione con il laboratorio hip-hop UrbanBeing una serata antirazzista, dal titolo "IO ANTIRAZZISTA". Parleremo di ciò che sta accadendo nell'Italia odierna e denunceremo l'orrore che si vive quotidianamente nei CIE, con proiezioni di video e musica hip-hop, dall'aperitivo fino a sera.
Prendiamo parola riguardo ciò che sta succedendo in Italia dal punto di vista dei diritti delle persone migranti. Lo facciamo perché la situazione è drammatica. Lo facciamo perché benché nei telegiornali non si parli della situazione di migliaia e migliaia di persone rinchiuse senza aver commesso nessun reato, non siamo CIEchi, non siamo CIEche. Constatiamo che oggi il fermo di alcuni migranti senza i documenti in regola fa già una notizia, mentre sembrerebbe non essere una notizia il fatto che oggi, viste le leggi in materia di immigrazione (pacchetto sicurezza e Bossi-fini in primis), è normale che ci siano persone che perdono il permesso di soggiorno in Italia, e con esso ogni minimo diritto.
Sta succedendo che in Italia la lega raddoppia i consensi rispetto alle elezioni regionali precedenti, e lo fa usando apertamente il linguaggio del razzismo.
Nei CIE italiani accadono stupri (come quello tentato su Joy e Hellen nel CIE di via Corelli a Milano), maltrattamenti, pestaggi (come dimostrano i video di YouReporter e di altre associazioni, che pubblichiamo sul nostro blog e che proietteremo domani). Nei CIE è addirittura vietato portare dentro i cellulari, e la comunicazione con l'esterno è resa quasi impossibile. Nei CIE ci vanno a finire persone che vivono in Italia da decine di anni, che hanno sempre lavorato e contribuito alla ricchezza sociale, economica e culturale del nostro paese, che hanno perso il lavoro e con esso anche il permesso di soggiorno.
La Bossi-fini, il pacchetto sicurezza e i CIE costituiscono un drammatico dispositivo di esclusione sociale, riducono esseri umani, migranti (come migranti eravamo noi italiani in tempi di fame), a braccia da usare nei lavori più duri e di cui disfarsi quando la crisi preme, o attraverso il cui lavoro nero e ipersfruttato, schiavizzato, uscire da una crisi non certo determinata da noi.
Di fronte a tutto ciò, di fronte ad una costrizione all'illegalità e alla clandestinità imposta dal legame tra il lavoro e la casa ed il rilascio del permesso di soggiorno (spesso quando è già scaduto), di fronte ai pestaggi, come quello che poche notti fa ha scatenato a Roma l'ennesima rivolta dei reclusi, crediamo sia impossibile stupirsi, e ci sentiamo più che mai vicini e vicine a tutti i reclusi ingiustamente, senza aver commesso reati, in questi lager. A loro va tutta la nostra solidarietà. A loro, ma anche a noi che potremmo andare a finirci domani, anche a noi che per via della cittadinanza italiana non ci finiremo mai ma che siamo solidali e antirazziste, dedichiamo l'impegno nel continuare il cammino, iniziato il Primo Marzo, verso la costruzione di un forte movimento NO CIE, per i diritti di tutti e contro le leggi razziste.
Ci interessa, e molto, denunciare anche ciò che sta succedendo in Toscana perché qua siamo, qua viviamo, e qua vogliamo continuare a vivere.
Durante la campagna elettorale la Lega Nord di Arezzo si è messa a distribuire ai mercati delle saponette usa e getta per poter pulirsi le mani dopo aver toccato una persona migrante: questa geniale idea forse ha fruttato al partito xenofobo un incremento sostanziale rispetto alle precedenti regionali, in quanto è passato dall'1,3% del 2005 all'8,35% delle recenti elezioni (attestandosi in provincia di Arezzo sopra la media regionale, che è del 6,5%, dunque).
Negli ultimi mesi succede che sui treni ci sono agenti della polfer che chiedono i documenti. Fin qui tutto potrebbe anche sembrare normale, ma ciò diventa meno normale se si pensa al fatto che non è abituale per i toscani sentirsi chiedere i documenti ed essere identificati sul treno, molti di noi studiano o lavorano in città come Firenze o Pisa, e non siamo affatto abituat@ a tali "premure", né ci sentiamo più sicur@. Non ci sembra normale nemmeno il fatto che i documenti non vengano chiesti a tutti i passeggeri indistintamente, ma solo ad uno scompartimento per vagone, quello con più persone di carnagione scura, o dai tratti inconfondibilmente stranieri, come gli occhi a mandorla per esempio. Cosa succede se un cittadino è senza documenti?
Ci idignamo di fronte a una società e a delle istituzioni che criminalizzano i migranti, non vogliamo assolutamente una Toscana in salsa leghista, e quando apprendiamo della pratica di tali controlli ci viene in mente Milano, con le retate anti-immigrati fatte dai vigili sui pullmann di linea, ci vengono in mente gli anni più bui del secolo scorso (che molti di noi non hanno visto, ma che nell'Italia di oggi riescono ad immaginarsi perfettamente).
Allora invitiamo tutti i cittadini democratici a riconoscere gli atti di straordinario razzismo (non è ordinario controllo quello), e a far sentire il proprio rifiuto: rendiamo pubblico il numero della nostra associazione e mettiamo a disposizione i nostri legali per chi, senza documenti, dovesse incorrere in problemi di questo tipo e avesse bisogno di un legale.
Ci preme sottolineare la nostra preoccupazione per quanto espresso in campagna elettorale circa la possibilità di una collaborazione della Regione con il Governo, riguardo la costruzione di un CIE in Toscana, sebbene sotto forma di "piccoli centri attenti alla dignità e ai diritti umani". Ci riesce impossibile pensare come dei centri di identificazione ed espulsione, regolati da accordi nazionali, possano sul territorio toscano, se costruiti, assumere la forma di centri volti all'integrazione e alla regolarizzazione dei detenuti. I CIE sono disumani per natura essendo realizzati per rinchiudere senza un giusto processo, persone colpevoli di soli illeciti amministrativi (mancanza di documenti) e non reati.
Per la prima volta dal 1938, anno delle leggi razziali approvate dal fascismo, assistiamo ad una punizione della condizione della persona e non del comportamento.
Il trattenimento nei CIE è altamente inconstituzionale poichè incide sulla libertà personale del migrante. L’articolo 13 della Costituzione tutela la libertà come diritto fondamentale anche allo "straniero comunque presente sul territorio dello stato".
Sulla base di esperienze dirette, testimonianze documentate, reportage, filmati, inchieste e denunce di associazioni autorevoli come Medici senza Frontiere e Amnesty International ma anche funzionari statali, tecnici, esperti, esponenti del volontariato e dell’associazionismo affermiamo l'inconstituzionalità dei CIE, centri di annientamento della dignità umana che riflettono tristemente la condizione di un Paese vittima e colpevole di un razzismo sempre più diffuso e radicato.
Chiediamo di riflettere sugli avvenimenti accaduti nei CIE (pestaggi e ribelioni), e di ascoltare la voce del mondo dell'associazionismo, delle basi religiose, di chi denuncia lo stato di invivibilità, gli atti di auto-lesionismo e di suicidio ai quali in molti ricorrono pur di sottrarsi alla condizione atroce alla quale sono sottoposti. Chiediamo alla Regione e al Presidente vincente di dire un NO CHIARO ai CIE in Toscana, poichè per la tutela della dignità umana non ci si può appellare all'uso di mezze misure. Chiediamo alla Toscana di dare un segnale forte all'intero paese e rifiutare il clima xenofobo e intollerante perpetuato costantemente e alimentato dalla Legge Bossi-Fini, dicendo un No chiaro ai Cie.
Chiediamo alla Toscana di rimanere democratica e di mantenere il giudizio fortemente critico contro la legge Bossi-Fini come garantito dal "Programma Toscana Democratica" e di applicare con coerenza i principi di integrazione e rispetto dei diritti umani sanciti dalla legge in immigrazione che la Toscana si è data.
La splendida giornata del Primo Marzo 2010, in cui migliaia e migliaia di cittadini toscani, insieme a cittadini di mezza Europa, hanno gridato un forte no al razzismo e alle discriminazioni, hanno ribadito il diritto a migrare, sancito dalle convenzioni internazionali per i diritti dell'essere umano, hanno detto un chiaro no ai lager per migranti, no ai CIE: né in Toscana, né altrove.
Invitiamo tutti i comitati locali toscani a riprendere il discorso sui diritti e contro il razzismo, anche in vista della prossima assemblea nazionale del movimento Primo Marzo, che si terrà a Roma l'11 Aprile, in cui si discuteranno le priorità del movimento.
Sabato 3 Aprile, in collaborazione con il laboratorio hip-hop UrbanBeing, serata antirazzista: "IO ANTIRAZZISTA". Parleremo di ciò che sta accadendo nell'Italia odierna e denunceremo l'orrore che si vive quotidianamente nei CIE, con proiezioni di video e musica hip-hop, dall'aperitivo fino a sera. Dalle 19 in poi presso gli spazi del cs Intifada in via 25 Aprile a Ponte a Elsa.

cittameticcia@gmail.com
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lunedì 15 marzo 2010

Mandati a morire


Gli eritrei e i somali respinti in Italia, sono da diversi mesi nelle carceri libiche e rischiano di essere rimpatriati nel loro paese dove li attende la corte marziale e i lavori forzati.

Di Gabriele Del Grande.


Dieci febbraio 2010. Gaeta. Il ministro dell'Interno Roberto Maroni stringe la mano all'ambasciatore libico in Italia Hafed Gaddur. L'Italia ha mantenuto l'impegno sottoscritto dal governo Prodi nel 2007. E oggi consegna alla Libia altre tre motovedette per i pattugliamenti anti emigrazione al largo di Tripoli, dopo le tre consegnate nel maggio 2009. La ricetta dei respingimenti, voluta dal governo Prodi e messa in atto dal governo Berlusconi, ha dato i frutti sperati. Gli sbarchi in Sicilia si sono azzerati negli ultimi mesi. Nel 2009 sono arrivate via mare poco più di 9mila persone a fronte di oltre 36mila giunte l'anno precedente. Dall'inizio dei respingimenti, nel mese di maggio, il numero degli arrivi è calato addirittura del novanta percento. "Abbiamo fermato l'invasione", recitano tronfi d'orgoglio i manifesti elettorali della Lega. Nessuno però ha ancora detto agli italiani che fine hanno fatto i respinti.
A dieci mesi di distanza dai primi refoulement, abbiamo ricostruito il loro destino, grazie a una rodata rete di informatori in Libia. Molti dei respinti sono stati rimpatriati nei loro paesi. Ma non i rifugiati politici, somali e eritrei, che sono ancora in carcere. I primi si trovano in due campi, a Tripoli e a Gatrun, mille chilometri più a sud, in pieno deserto. Gli eritrei invece sono divisi tra Misratah, Zlitan, Garaboulli e, le donne, Zawiyah. E mentre in Italia si brinda al giro di vite sugli sbarchi, i rifugiati in Libia rischiano l'espulsione. Rischiano sì, perché a differenza dei contadini del Burkina Faso o dei ragazzi delle periferie di Casablanca, per un eritreo o per un somalo il rimpatrio significa arresti e persecuzioni. E in alcuni casi, la vita. La Somalia è in guerra civile dal 1991. E il regime eritreo dal 2001 stringe in una morsa sempre più serrata l'opposizione e l'esercito. La repressione è tale, che recentemente i servizi segreti eritrei sono arrivati addirittura in Libia alla ricerca degli oppositori.
È successo nel gennaio 2010. L'idea iniziale era di organizzare un'espulsione di massa, come fece l'Egitto nel 2008 quando rimpatriò in un mese ottocento eritrei, in gran parte disertori. Così, tra gennaio e febbraio, centinaia di eritrei detenuti in Libia sono stati schedati. Alle iniziali proteste di chi rifiutava di fornire le proprie generalità all'ambasciata, la polizia libica ha risposto con la violenza. Nel campo di Surman gli scontri sono stati particolarmente cruenti. Ma alla fine la diaspora eritrea è riuscita a esercitare una certa pressione sulle organizzazioni internazionali e sulla stampa. E il progetto di rimpatrio si è ridimensionato, assumendo però un carattere ancora più preoccupante.

Secondo Radio Erena, una radio indipendente dell'opposizione eritrea basata a Parigi, tra le centinaia di eritrei detenuti in Libia, il regime ne avrebbe selezionati dodici e li avrebbe espulsi. I fatti risalirebbero al 2 febbraio 2010. Il criterio con cui i dodici sarebbero stati scelti è il ruolo politico che avevano in patria prima della fuga. Tutti infatti erano assunti presso diversi uffici ministeriali e due di loro erano membri dell'aviazione militare eritrea. Radio Erena ha diffuso una lista dei nomi:Nove dei dodici espulsi, sarebbero ancora detenuti in modo arbitrario nel carcere eritreo di Embatkala. Si tratta di: Zigta Tewelde, Asmelash Kidane, Zeraburuk Tsehaye, Zewde Teferi, Yohannes Tekle , Ghebrekidan Tesema, Tilinte Estifanos Halefom, Nebyat Tesfay e Tilinte Tesfagabre Mengstu. Inoltre, Habte Semere e Yonas Ghebremichael, che prima di fuggire dall'Eritrea lavoravano nell'ufficio del presidente Afewerki, sarebbero in queste ore detenuti nella prigione di Ghedem, vicino Massawa.

In Eritrea li attendono anni di carcere duro e torture. Ma per gli eritrei rimasti in Libia la situazione non è migliore. Nel centro di detenzione di Garabulli sono in centosettanta, rinchiusi insieme a ventiquattro somali, in celle grandi quanto un monolocale, trenta metri quadrati, dove vengono stipate fino a quaranta o cinquanta persone buttate a dormire per terra. Qui gli eritrei sono arrivati il 16 settembre, dal carcere di Bengasi, dove nel mese di agosto una rivolta dei detenuti era stata sedata nel sangue dalla polizia libica, con l'uccisione di almeno sei prigionieri somali. Anche qui il 28 dicembre 2009 sono arrivati i formulari dell'ambasciata eritrea per l'identificazione e il rimpatrio. Ma nessuno li ha voluti firmare per paura di essere perseguitato in patria. Sono quasi tutti disertori dell'esercito e in Eritrea rischiano la corte marziale e i campi di lavoro forzato. A fargli cambiare idea sono state le torture della polizia libica. L'11 gennaio li hanno fatti uscire uno a uno, nel corridoio del carcere, riempiendoli di manganellate. Un uomo è stato ammanettato e appeso al muro per i polsi, perché fosse da esempio agli altri. Alla fine hanno riempito i formulari in centoventi, altri cinquanta hanno continuato a rifiutare nonostante i pestaggi. Oggi hanno tutti la stessa paura. Chi ha firmato teme di essere rimpatriato. Chi non lo ha fatto ha paura di essere trasferito in un'altra prigione e di passare anni nelle galere libiche. Gli anni migliori della vita. Magari con una famiglia qui in Italia che li aspetta e che da mesi non ha più loro notizie. Ma non si preoccupino gli italiani. Maroni l'ha detto e ripetuto: "La Libia fa parte dell'Onu e in Libia è presente l'Alto commissariato per i rifugiati della nazione Unite".

Tratto da: PeaceReporter

mercoledì 3 marzo 2010

Primo Marzo 2010 - Un nuovo comune della cittadinanza


di Nicola Grigion

Dalla capitale al profondo Sud, dal Nord Ovest dell’industria al Nord Est della produzione diffusa, il Primo Marzo 2010 è stata una giornata ricca di colore.

Cortei (partecipatissimi) e iniziative, in oltre 60 città italiane, certo, per esprimere contrarietà al razzismo ed alle attuali politiche sull’immigrazione, ma anche per affrontare situazioni e percorsi concreti, come la questione degli sfratti, dello sfruttamento nel lavoro, della precarietà, della gestione securitaria delle città.

Potremmo, in questo 2 Marzo, il giorno dopo, essere affascinati dall’idea di arrivare ad una sintesi, o farci ingannare facilmente dalla possibilità di raccontare le 24 ore appena trascorse in maniera rituale, retorica. Ma tutto questo non potrebbe che risultare un abito troppo stretto per una giornata che invece apre inediti scenari, tutti da scoprire, tutti da percorrere.

Perchè il Primo Marzo 2010 non è stato semplicemente il giorno dei migranti, non è stata una giornata di sciopero e mobilitazioni dei soli stranieri, per i soli diritti degli stranieri. Piuttosto, il Primo Marzo 2010, raccontato dalle migliaia di facce che lo hanno animato, lascia tutti noi con l’idea e la convinzione che insieme, italiani e stranieri, possiamo costruire un nuovo linguaggio per abitare la crisi.

Perchè se è vero che i migranti sono una parte fondamentale di un paese che sulla precarietà di molti costruisce la sua economia (in crisi), è vero anche che sembra sempre più remota la possibilità di immaginare ricomposizioni semplici di questa marea eterogenea che è il precariato diffuso. E dentro ad esso, ancor più improbabile risulta immaginare la condizione specifica dei migranti come un elemento di comunanza in grado di produrre unità, rivendicazioni comuni, percorsi condivisi.
Semmai, la fotografia del presente, ancora sfocata ed indefinita (ma proprio per questo carica di possibilità) lascia intuire che la condizione dei migranti colora delle sue tonalità trasversalmente ogni ambito della nostra vita, ogni sfaccettatura della cittadinanza, ogni segmento del precariato e che proprio per questo il Primo Marzo è stato possibile.

Se una cosa ci ha detto, tra le tante, questa giornata, è proprio di smetterla con le monolitiche rappresentazioni dei migranti, con le retoriche sulla loro situazione, come se fosse qualcosa di separato dal resto della società e non invece una sua condizione viscerale, strutturale, epidemica. Le piazze del Primo Marzo ci hanno segnalato che i migranti non sono semplicemente una delle tante parzialità che abitano questo mondo precario, ma che invece attraversano la cittadinanza in ogni sua declinazione e che su questo terreno stratificato, trasversale, è forse possibile riposizionare un nuovo cammino.

Perchè se a Rosarno una rivolta contro lo sfruttamento ci aveva fatto assaporare l’idea della ribellione "nera" (conclusasi poi con le espulsioni), in via Padova, poche settimane dopo, avevamo capito che rappresentare gli stranieri, gli immigrati, i migranti, non è cosa semplice, che la scomposizione sociale, accellerata dalla crisi, produce solchi profondi anche tra chi vive condizioni di vita simili, che la ricomposizione dei migranti, come fossero qualcosa di omogeneo, è forse solo un rischioso esercizio teorico e che, piuttosto, esistono elementi ricompositivi che parlano linguaggi, contradditori, ma non per questo irreali e per questo inaggirabili.

Con questi occhi, con la voglia di guardare dentro alle pieghe del presente, quelle che anche il Primo Marzo ha contribuito positivamente a farci scoprire, ci proiettiamo invece verso un nuovo orizzonte.

Tra le diverse sfumature di giallo disegnate dalla giornata senza di noi, proviamo a cogliere quella che più ci parla del nostro futuro: c’è un nuovo spazio da costruire, un nuovo terreno su cui praticare la trasformazione, che ha bisogno di parzialità certo, ma anche di costruzione di pensiero, di pratiche e di vita in comune. Non la rivolta dei "neri", neppure la proposta di un generico "precariato unito", ma percorsi formativi e performativi di una nuova realtà, un nuovo modo di fare società. Non si tratta di dare cittadinanza ai nuovi cittadini, ma di costruire un nuovo comune della cittadinanza per tutti.

Tratto da >> MeltingPot Europa